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Ci sono due tradizionali in ognuno di noi

Prendo la scusa per rielaborare un piccolo approfondimento che ho fatto sul gruppo Telegram “Ruling the Game”. Il titolo dell’articolo è una citazione scherzosa al celebre meme che riportava, forse un po’ abusatamente, la leggenda cherokee del lupo nero e del lupo bianco.

L’occasione è stata fornita da un’incomprensione sul termine “tradizionale”, riferito al mondo dei giochi di ruolo. Non voglio approfondire qui l’utilità e la precisione del termine “tradizionale”, in questo contesto. So che per molti è impreciso e poco funzionale, ma qui voglio darlo per buono, visto che è comunemente usato nelle conversazioni. A questo punto, mi preme, più che altro, chiarire che, secondo me, questo termine viene usato per intendere due stili di gioco che, a conti fatti, sono molto diversi.

Già, perché ci sono due tradizionali in ognuno di noi. Il primo è quello che chiamerò tradizionale della “vecchia scuola”, il secondo è quello che chiamerò tradizionale col “sistema zero”.

Se parliamo di modo di giocare tradizionale della “vecchia scuola”, stiamo parlando di una cultura di gioco che è nata e si è diffusa, grossomodo, nella prima decade di vita dei giochi di ruolo (1974-1985); in particolare, nell’area del Midwest americano.

Parliamo di una cultura di gioco che faceva dei suoi tratti peculiari caratteristiche come: alta casualità; combattimenti letali (o, comunque, presi molto sul serio); creazione di un mondo con una sua coerenza interna, indipendente dalle aspettative dei giocatori; avventure basate su situazioni aperte, senza una storia scritta prima, che i giocatori devono seguire per andare avanti. Se avete mai sentito parlare di Old-School Renaissance, si tratta proprio della cultura di gioco che riscopre e rielabora questo stile di gioco in chiave storicamente più moderna.

Ora parliamo, invece, del modo di giocare tradizionale col “sistema zero”. Dalla metà degli Ottanta, circa, è diventata sempre più concreta, fino a diventare maggioritaria, un’altra cultura di gioco: appunto, quella che io chiamo tradizionale col “sistema zero”.

Parliamo di una cultura di gioco che faceva del suo tratto distintivo la ricerca della drammaticità delle storie giocate attraverso il medium gioco di ruolo. Molto comune era l’espressione (necessariamente imprecisa) “giocare per la storia”.

Per come funzionavano la maggior parte dei regolamenti dell’epoca, tuttavia, il focus del sistema di risoluzione era ancora molto incentrato sul “motore fisico” del mondo di gioco: un insieme di regole che fosse reputato “realistico” per come risolveva le azioni dei personaggi. Quando hai un sistema di risoluzione di questo tipo, diventa quasi impossibile usarlo per risolvere delle azioni che siamo drammaticamente rilevanti per i personaggi. Una parziale soluzione a questo problema verrà implementata, dagli anni Duemila, da una parte dei giochi sviluppati nell’ambiente di “The Forge”. Qui il focus del sistema di risoluzione si spostava su quella che viene ancora chiamata “risoluzione dei conflitti”. Ma mi fermo qui, perché non voglio approfondire questo argomento in questo articolo.

Insomma, per come funzionavano generalmente i regolamenti dei giochi in questa fase, “giocare per la storia” usando le regole del motore fisico era quasi impossibile. La tensione drammatica veniva ripetutamente spezzata dai freddi risultati del sistema di risoluzione. Per ovviare a questo problema, si è cominciato a credere che uno dei compiti più importanti del ruolo del game master fosse proprio quello di ignorare, modificare o creare nuove regole (o i risultati delle regole già esistenti), anche al volo, “per il bene della storia”. E siccome, se giochi per una certa drammaticità, fermare il gioco per spiegare come stai usando o modificando le regole portava, per alcuni, all’infrangersi della “sospensione dell’incredulità”, spesso queste decisioni erano prese all’insaputa degli altri giocatori. L’esempio iconico più banale, ma anche più concreto, è il game master che trucca un tiro di dado “per il bene della storia”.

Questo stile di gioco è stato chiamato da alcuni “sistema zero”, proprio perché porta il sistema di gioco (l’insieme delle regole e delle procedure usate da un gruppo di giocatori per decidere cosa succede nel loro mondo immaginario di gioco) a coincidere con le decisioni della figura apicale (il game master) chiamata a decidere con che sistema di gioco stiamo giocando. È una semplificazione, ma possiamo quasi dire che il sistema si azzera e viene a coincidere col game master. Da cui il termine “sistema zero”.

Pratiche, a mio avviso disfunzionali, come il “railroad” e l’“illusionismo” sono diventate una parte centrale di come i giochi di ruolo venivano concretamente giocati dalla maggior parte delle persone proprio con questa seconda fase della cultura di gioco tradizionale col “sistema zero”.

Spero di essere riuscito a spiegare come mai fare confusione tra la cultura di gioco tradizionale della “vecchia scuola” e quella tradizionale col “sistema zero” vuol dire, sostanzialmente, parlare di due cose molto diverse e non fare chiarezza a riguardo vuol dire, necessariamente, fraintendersi in continuazione.

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