Howard Pyle, “Sir Kay brealieth his sword, at the Tournament”, da The story of King Arthur and his Knights, 1903. Illustrazione di pubblico dominio. |
Ieri sera ho giocato la seconda e ultima sessione del primo (breve) playtest de La spadae gli amori, lo scenario per Archipelago a tema arturianosviluppato da Mammut RPG.
Il bilancio è molto positivo, in generale, ma qui voglio soffermarmi solo su un piccolo particolare, ma significativo.
A volte, con alcuni giochi (o gruppi di giocatori), capita di trascinarsi per delle scene che possono sembrare annacquate e inconcludenti, nelle quali la storia dei personaggi sembra non avere alcun senso, girare su se stessa, non parlare davvero di nulla e non arrivare mai da nessuna parte.
Non è stato così nelle due sessioni che abbiamo giocato i due giovedì scorsi. Abbiamo giocato tre scene per ogni personaggio – quattro solo per il mio – prima che tutti i personaggi arrivassero al proprio punto del destino, segnando la prima tappa di quella costellazione che è la storia complessiva dei personaggi.
La cosa bella dei punti del destino è che costituiscono di per sé un finale, per quanto temporaneo, di una storia. Arrivare a un punto del destino in tre-quattro scene, significa avere un gioco che offre la possibilità di giocare scene significative e intense per i personaggi.
E questo mi porta a un’altra considerazione: i giochi “lunghi” non sono necessariamente più soddisfacenti, o più intensi. Le sessioni di La spada e gli amori che ho giocato ne sono la prova definitiva, se mai ne servisse una.