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Tirnath-en-Êl Annûn: Laho calad! Drego morn! – Parte 2

Continuano le avventure di Nivie figlia di Araret. Se ve la siete persa, potete leggere la prima parte di questa breve storia qui.
Illustrazione © sconosciuto

«Noro an Fornost Erain, Beran, mellon nín. Corri a Fornost Erain, Beran, amico mio». L’ultimo compagno Nivie l’aveva perso nelle ultime leghe percorse, a passi pesanti, nella profonda neve. I cavalca-Warg erano sulle sue tracce da miglia e miglia, ormai; l’unico modo per farcela sarebbe stato confonderli con uno stratagemma.

«Guren nallatha nalú achenin le, adar. Il mio cuore verserà lacrime fino a che non ti rivedrò, padre». Beran non era un cavallo qualsiasi: gli Elfi Noldor lo avevano donato a suo padre Araret poco prima che lo vedesse per l’ultima volta, prima che partisse per la battaglia. Sei gambe avevano lasciato la sua casa e quattro sole vi avevano fatto ritorno: la bestia era saggia e intelligente e conosceva le vie dell’Arnor.

«Leutho i Êl-en-Annûn. Prendi la Stella d’Occidente». Solo la stella d’argento dalle sette punte, simbolo del suo Ordine, ora l’accompagnava lungo il sentiero innevato. La teneva sotto al mantello, sotto il giustacuore, sotto agli abiti invernali, sopra al cuore. La stella a sette punte che fu di suo padre; infatti, a quel tempo, era ancora usanza ben radicata che gli ultimogeniti seguissero le orme dei padri nei Tirnath-en-Êl Annûn, e Nivie voleva essere padrona del proprio destino e non accettare un matrimonio combinato o una sorte altrimenti infelice.

«Guren min gaim lín. Il mio cuore è nelle tue mani». Sul cuore portava anche le ultime parole di Harden figlio di Caler, colui che le aveva giurato amore in mille modi pur sapendo di non essere corrisposto. Perché anche in questo Nivie voleva essere padrona del proprio destino, e la perdita del padre e degli altri compagni aveva indurito e raffreddato il suo cuore, come la neve che il suo stivale saggiava in questo momento.

«I hrist vîn ristathar i thaind i-heth vîn. Le nostre spade spezzeranno gli scudi dei nostri nemici». Anche la sua spada era fredda, nella mano. Fredda e calda al tempo stesso, per il sangue della sentinella degli Orchi che aveva da poco ucciso. Di questo passo sarebbero stati su di lei tra non molto ma non poteva desistere ora; doveva tenere duro, anche a costo di perdere ogni prudenza! Ancora poche leghe e allora sì che li avrebbe avvistati… gli Erenbrulli e il campo dei Tirnath-en-Êl Annûn.

Cadde per terrà per la fatica, usò la spada a mò di bastone per rialzarsi, mentre portava istintivamente l’altra mano sul petto, a stringere la Stella d’Occidente che aveva sul cuore. Poteva sentire lo sfinimento e dentro di sé la voce di Harden figlio di Caler: «Guren min gaim lín». Sì alzò e riprese la marcia verso gli Erenbrulli con ritrovata tenacia e un sussurro che le cominciava a insinuarsi nella testa, come il gelido vento d’inverno…

Le melin, Harden Calerion.

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